28 dicembre 1908 - 28 dicembre 2008
Il ricordo di tali avvenimenti dolorosi attraverso la diretta testimonianza di chi li visse, a uno sguardo superficiale, potrebbe sembrare superfluo perché riguarda fatti lontani nel tempo. Ma gli inizi e l’oggi si richiamano a vicenda e si collegano insieme per un cammino che vuole essere contemporaneamente legato alla sua sorgente e sempre proteso verso la sua realizzazione. Tali vicende, proprio perché hanno segnato le origini della nostra Famiglia religiosa, danno senso al nostro oggi, così come i rami di un albero si sviluppano in osmosi vitale con le proprie radici.
L’apertura missionaria del nostro Istituto è nata dal dolore per la distruzione, e dal sacrificio per la perdita di 13 consorelle, segno del mistero della vita che deve attraversare la prova della morte; è nata dall’ uscita di suore e orfanelle che nell’angoscia e nella sofferenza, fidandosi della Provvidenza divina, si sono messe in viaggio e sono diventate strumenti di una storia che si è fatta apertura e dono; è nata dalla grande fiducia in Dio del Padre Fondatore, della Madre Nazarena, dei primi Padri e delle prime Sorelle, tutti animati dalla certezza di avere una missione “unica” da compiere e cioè eseguire e diffondere quel gran Divino Comando “Rogate ergo…”.
L'immagine disastrosa della bella città di Messina
Ciò che restò del nostro Istituto dopo il terremoto
l'imbarcazioni dei terremotati
All’alba del 28 Dicembre 1908, alle ore 5.20, la terra si scosse e balzò fieramente. In pochi secondi la città di Messina fu rasa al suolo, seppellendo sotto le macerie varie decine di migliaia di vittime. Il terremoto colpì anche la città di Reggio Calabria e i territori sulle due coste dello Stretto. Il Padre Fondatore si trovava a Roma, la Madre M. Nazarena in visita alla casa di Taormina. La loro angoscia fu grande al sentire la notizia e la lontananza accrebbe l’ansia e la loro afflizione. Lo stesso padre Fondatore dà un resoconto degli avvenimenti sul periodico Dio e il Prossimo: “Al momento dell’immane disastro, le Orfanelle si trovavano per la maggior parte nel dormitorio già vestite, ed altre nel corridoio attiguo che conduceva al lavatoio. Quando a un tratto l’ampio salone sbalzò come una nave in tempeste, i muri crollarono, la tettoia precipitò, e le ragazze si trovarono travolte in quel subisso. Quelle che stavano nel corridoio ebbero pure addosso la tettoia, e cadde parte del pavimento. Ebbene, chi il prederebbe? S. Antonio mostrò la sua protezione sulle sue Orfanelle, e le custodiva in favore dei Cuori SS.mi di Gesù e di Maria. Nessuna Orfanella perì, e il meraviglioso si è che nelle tenebre della notte in mezzo ai ruderi, le ragazze trovarono via di uscita, e si raccoglievano a due e tre nell’ampio giardino dell’Orfanotrofio. Le più grandette operavano il salvataggio delle più piccole, e l’una con l’altra si estraevano da quelle rovine. Tra due e tre ore, tutte erano già in salvo, senza che alcuna avesse ricevuto alcun danno, eccetto due o tre con piccole contusioni.
Ma per così portentosa liberazione ci volevano delle vittime. E queste S. Antonio di Padova se le scelse tra la Comunità religiosa delle Figlie del Divino Zelo, addette alla
educazione e custodia delle orfanelle. Tredici furono le vittime, corrispondenti ai tredici privilegi del Santo Taumaturgo. Queste tredici figlie si trovavano in quel momento chi a letto per indisposizione, chi nei dormitori per ufficio di pulizia; i dormitori erano due, fabbricati uno sull’altro e attaccati alla monumentale Chiesa dello Spirito Santo. Crollata la Chiesa con grande fracasso, crollato il campanile a cui si accedeva da uno dei dormitori, questi rovinarono in un modo spaventevole, e una ventina delle Suore vi restarono travolte.
Il nostro Sacerdote Pantaleone Palma, da Ceglie Messapico, dall’Orfanotrofio maschile, dove abbiamo nostra dimora, appena terminato il tremendo terremoto, accorse subito all’Orfanotrofio femminile che dista cinque o sei minuti da quello maschile. Due fratelli laici lo seguirono. Tutto era buio. Il gas della pubblica via si era spento, e quel tratto di via era ingombrato da enormi macerie. S’inerpicarono tra quelle masse, s’impigliavano tra i fili rotti del telegrafo e del telefono, pezzi di mura crollavano dintorni; e così tra i gemiti e gli urli, fra le rovine e l’ecatombe, giunsero all’Orfanotrofio femminile. La loro presenza rianimò le Suore, e si incominciò l’opera di salvataggio delle travolte. Si sentivano i loro gemiti fra le macerie. Il Sacerdote Palma le chiamò per nome e alcune risposero, e diede a tutte l’assoluzione. Indi si lavorò a tutta lena per tirare fuori le poverette. Si tolsero massi, travi, con rischio della vita: spuntò la desiderata luce del giorno, ed ecco che si trasse fuori la prima e poi un’altra, e così di seguito; ma i lamenti cessarono, si chiamava e nessuno più rispondeva. Si proseguì l’immane lavoro, e ne furono tratte altre già spente; una teneva il crocifisso e le medaglie strettamente nel pugno. Questo lavoro di salvataggio fu fatto in mezzo a una pioggia dirotta. Indi si pensò a costruire due baracche di legno nell’ampio giardino, una per le Suore ferite e una per le orfanelle e Suore rimaste incolumi”.
Come sappiamo, da Taormina, la Madre Nazarena sentì anche lì una forte scossa di terremoto; sapute notizie del disastro a Messina, volle prendere a tutti i costi il treno con due altre Suore, avventurandosi in un viaggio pericoloso, pur di raggiungere le sue figlie. Giunta attraverso le macerie, allo Spirito Santo, tutte le andarono incontro ed ella si rincuorò nel vederle numerose, ma ben presto seppe la sorte delle 13 vittime e ne pianse. Il 2 gennaio le Suore e le ragazze iniziarono un triduo di preghiere per il ritorno del Padre Fondatore; l’ultimo giorno del triduo, durante la benedizione del SS. mo, egli finalmente arrivò e tutti ripresero coraggio. Come era sua abitudine, dopo il momento di sgomento, il Padre Fondatore si affidò alla Volontà di
Dio e si diede da fare per affrontare al meglio la situazione. Man mano che passavano i giorni era sempre più evidente che non si poteva più continuare a stare nelle baracche provvisorie.
Dal momento che nel novembre 1908, un mese prima del disastro, il Padre Fondatore era stato invitato dai Cappuccini di Francavilla Fontana, in Puglia, a predicare ivi un corso di Esercizi Spirituali ai Terziari, si rivolse a loro, pregandoli di procurargli dei locali e di farne parola a Mons. Antonio Di Tommaso, Vescovo di Oria. La risposta fu immediata e generosa: Francavilla Fontana e Oria erano pronti per dare la richiesta ospitalità.
Non fu facile organizzare tutto, pensare al viaggio, alla sistemazione di tante persone, ma si riuscì, col dolore nel cuore, a fare tutto quanto. Il giorno 29 Gennaio del 1909 metà delle orfanelle, guidate dalle Suore, e tutti gli orfani, accompagnati dai Sacerdoti e da Fratelli assistenti, partirono da Messina verso le cinque del pomeriggio. Nella storia della casa di Francavilla Fontana le nostre suore annotano: “Oh, chi può comprender il dolore che precedette questa partenza! Com’era doloroso il pensare di dover abbandonare quei santi luoghi, i quali conservavano le nostre memorie quando in essi avevamo trovato dimora, anelanti alla vita religiosa. Il viaggio fu disastroso, pioggia, freddo e tutti i rigori dell’inverno, ma in questa tempesta era bello vedere le Orfanelle e gli Orfanelli innalzare innocenti preghiere al Signore, ringraziandolo delle grazie che misericordiosamente aveva loro concesso”. Arrivarono a Francavilla il 31 gennaio 2009 alle tre del pomeriggio dove era ad attenderli autorità civili e militari e una moltitudine di persone; un secondo viaggio si fece nel mese di febbraio. Nella storia della casa di Oria si legge: “Il dì 19 Febbraio dello stesso anno partirono alla sua volta da Messina per Oria la Comunità Religiosa delle Figlie del Divino Zelo del Cuore di Gesù con annesso Orfanotrofio Femminile. Anche per loro si rese doloroso lasciare le spiagge messinesi, specialmente per coloro che vi procuravano di far sviluppare il seme della loro vocazione che il Signore medesimo erasi degnato infondere nel loro cuore …La sera Orfane e Suore furono accolte con grande e generoso affetto dalle buone Figlie di S. Vincenzo che diedero pranzo ed alloggio per tutte. Il domani dopo la S. Messa e Comunione, partenza per Oria alla di cui stazione degnò farsi trovare lo stesso Mons. Vescovo con gran parte del suo Clero e varii cospicui Signori. Si andò di filato alla Cattedrale dove il Rev.do Padre Conti fece un apposito discorso, poi le Orfane cantarono a suon d’armonium l’Inno a S. Barsanofio. Si conchiuse con la Benedizione del SS.mo Sacramento.
Or non essendo ancor pronti i locali del Monastero delle Benedettine che ci era stato offerto dal Vescovo di detta Città, le Orfane e Suore furono alloggiate nell’Ospedale Martini dove le buone Figlie della Carità per circa 40 giorni spiegarono le loro materne cure a quelle Ospiti che mai dimenticheranno. L’ingresso poi nel Monastero di San Benedetto fu il dì 4 Aprile, giorno delle Palme, con processioni delle Suore e Orfane con innanzi 4 bellissime statue: del Cuore Ss.mo di Gesù, della Madonna di Lourdes, di S. Giuseppe e di S. Antonio di Padova”.
Dirà il Padre “Quanto sono mirabili le vie della Provvidenza”: sembrava che il terremoto di Messina e altri avvenimenti umani avessero dovuto distruggere la sua Opera benefica, ma Dio aveva altri piani. “La divina Provvidenza disponeva che l’immane catastrofe fosse pei miei Orfanotrofi il principio di una maggiore estensione”: fu effettivamente quanto avvenne a seguito del terremoto con il conseguente trasferimento degli orfanotrofi, maschile e femminile, da Messina in Puglia. Scriverà P. Santoro: “Infatti il terremoto avrebbe chiuso un periodo oscuro dell’Opera, ma ne avrebbe aperto un altro più ricco, più dinamico, più luminoso.(cfr. SANTORO S., Inizio carismatico e laborioso, p.70).
Con il terremoto la “piccola carovana”, partita dal quartiere Avignone di Messina, cercherà nuovi spazi in un viaggio, segnato dal dolore e dal sacrificio, in particolare di 13 Figlie del Divino Zelo. Tale esodo è rappresentativo di un viaggio che continua ancora oggi per le vie del mondo dove l’Istituto si fa presente, nel segno dell’ansia missionaria del nostro caro Padre Fondatore, consapevoli come Lui di avere ricevuto una missione che deve continuare.