16 ottobre
MESSAGGIO DEL
SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2020
«Eccomi, manda
me» (Is 6,8)
Cari fratelli e sorelle,
Desidero esprimere la mia gratitudine a Dio per l’impegno con cui in
tutta la Chiesa è stato vissuto, lo scorso ottobre, il Mese Missionario
Straordinario. Sono convinto che esso ha contribuito a stimolare la conversione
missionaria in tante comunità, sulla via indicata dal tema “Battezzati e
inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”.
In questo anno, segnato dalle sofferenze e dalle sfide procurate dalla
pandemia da covid 19, questo cammino missionario di tutta la Chiesa prosegue
alla luce della parola che troviamo nel racconto della vocazione del profeta
Isaia: «Eccomi, manda me» (Is 6,8). È la risposta
sempre nuova alla domanda del Signore: «Chi manderò?» (ibid.). Questa
chiamata proviene dal cuore di Dio, dalla sua misericordia che interpella sia
la Chiesa sia l’umanità nell’attuale crisi mondiale. «Come i discepoli del
Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e
furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e
disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a
remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca... ci
siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia
dicono: “Siamo perduti” (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non
possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme» (Meditazione in Piazza San Pietro, 27 marzo
2020). Siamo veramente spaventati, disorientati e impauriti. Il dolore e la
morte ci fanno sperimentare la nostra fragilità umana; ma nello stesso tempo ci
riconosciamo tutti partecipi di un forte desiderio di vita e di liberazione dal
male. In questo contesto, la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da sé
stessi per amore di Dio e del prossimo si presenta come opportunità di
condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a
ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal
dono di sé.
Nel sacrificio della croce, dove si compie la missione di Gesù
(cfr Gv 19,28-30), Dio rivela che il suo amore è per ognuno e
per tutti (cfr Gv 19,26-27). E ci chiede la nostra personale
disponibilità ad essere inviati, perché Egli è Amore in perenne movimento di
missione, sempre in uscita da sé stesso per dare vita. Per amore degli uomini,
Dio Padre ha inviato il Figlio Gesù (cfr Gv 3,16). Gesù è il
Missionario del Padre: la sua Persona e la sua opera sono interamente obbedienza
alla volontà del Padre (cfr Gv 4,34; 6,38; 8,12-30; Eb 10,5-10).
A sua volta Gesù, crocifisso e risorto per noi, ci attrae nel suo movimento di
amore, con il suo stesso Spirito, il quale anima la Chiesa, fa di noi dei
discepoli di Cristo e ci invia in missione verso il mondo e le genti.
«La missione, la “Chiesa in uscita” non sono un programma, una
intenzione da realizzare per sforzo di volontà. È Cristo che fa uscire la
Chiesa da se stessa. Nella missione di annunciare il Vangelo, tu ti muovi perché
lo Spirito ti spinge e ti porta» (Senza di Lui non possiamo far nulla,
LEV-San Paolo, 2019, 16-17). Dio ci ama sempre per primo e con questo amore ci
incontra e ci chiama. La nostra vocazione personale proviene dal fatto che
siamo figli e figlie di Dio nella Chiesa, sua famiglia, fratelli e sorelle in
quella carità che Gesù ci ha testimoniato. Tutti, però, hanno una dignità umana
fondata sulla chiamata divina ad essere figli di Dio, a diventare, nel
sacramento del Battesimo e nella libertà della fede, ciò che sono da sempre nel
cuore di Dio.
Già l’aver ricevuto gratuitamente la vita costituisce un implicito
invito ad entrare nella dinamica del dono di sé: un seme che, nei battezzati,
prenderà forma matura come risposta d’amore nel matrimonio e nella verginità
per il Regno di Dio. La vita umana nasce dall’amore di Dio, cresce nell’amore e
tende verso l’amore. Nessuno è escluso dall’amore di Dio, e nel santo
sacrificio di Gesù Figlio sulla croce Dio ha vinto il peccato e la morte
(cfr Rm 8,31-39). Per Dio, il male – persino il peccato –
diventa una sfida ad amare e amare sempre di più (cfr Mt 5,38-48; Lc 23,33-34).
Perciò, nel Mistero pasquale, la divina misericordia guarisce la ferita
originaria dell’umanità e si riversa sull’universo intero. La Chiesa, sacramento
universale dell’amore di Dio per il mondo, continua nella storia la
missione di Gesù e ci invia dappertutto affinché, attraverso la nostra
testimonianza della fede e l’annuncio del Vangelo, Dio manifesti ancora il suo
amore e possa toccare e trasformare cuori, menti, corpi, società e culture in
ogni luogo e tempo.
La missione è risposta, libera e consapevole, alla chiamata di Dio. Ma
questa chiamata possiamo percepirla solo quando viviamo un rapporto personale
di amore con Gesù vivo nella sua Chiesa. Chiediamoci: siamo pronti ad
accogliere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare la
chiamata alla missione, sia nella via del matrimonio, sia in quella della
verginità consacrata o del sacerdozio ordinato, e comunque nella vita ordinaria
di tutti i giorni? Siamo disposti ad essere inviati ovunque per testimoniare la
nostra fede in Dio Padre misericordioso, per proclamare il Vangelo della
salvezza di Gesù Cristo, per condividere la vita divina dello Spirito Santo
edificando la Chiesa? Come Maria, la madre di Gesù, siamo pronti ad essere
senza riserve al servizio della volontà di Dio (cfr Lc 1,38)?
Questa disponibilità interiore è molto importante per poter rispondere a Dio:
“Eccomi, Signore, manda me” (cfr Is 6,8). E questo non in astratto,
ma nell’oggi della Chiesa e della storia.
Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia
diventa una sfida anche per la missione della Chiesa. La malattia, la
sofferenza, la paura, l’isolamento ci interpellano. La povertà di chi muore
solo, di chi è abbandonato a sé stesso, di chi perde il lavoro e il salario, di
chi non ha casa e cibo ci interroga. Obbligati alla distanza fisica e a
rimanere a casa, siamo invitati a riscoprire che abbiamo bisogno delle
relazioni sociali, e anche della relazione comunitaria con Dio. Lungi
dall’aumentare la diffidenza e l’indifferenza, questa condizione dovrebbe
renderci più attenti al nostro modo di relazionarci con gli altri. E la
preghiera, in cui Dio tocca e muove il nostro cuore, ci apre ai bisogni di
amore, di dignità e di libertà dei nostri fratelli, come pure alla cura per
tutto il creato. L’impossibilità di riunirci come Chiesa per celebrare
l’Eucaristia ci ha fatto condividere la condizione di tante comunità cristiane
che non possono celebrare la Messa ogni domenica. In questo contesto, la
domanda che Dio pone: «Chi manderò?», ci viene nuovamente rivolta e attende da
noi una risposta generosa e convinta: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8).
Dio continua a cercare chi inviare al mondo e alle genti per testimoniare il
suo amore, la sua salvezza dal peccato e dalla morte, la sua liberazione dal
male (cfr Mt 9,35-38; Lc 10,1-12).
Celebrare la Giornata Missionaria Mondiale significa anche riaffermare
come la preghiera, la riflessione e l’aiuto materiale delle vostre offerte sono
opportunità per partecipare attivamente alla missione di Gesù nella sua Chiesa.
La carità espressa nelle collette delle celebrazioni liturgiche della terza
domenica di ottobre ha lo scopo di sostenere il lavoro missionario svolto a mio
nome dalle Pontificie Opere Missionarie, per andare incontro ai bisogni
spirituali e materiali dei popoli e delle Chiese in tutto il mondo per la
salvezza di tutti.
La Santissima Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione e Consolatrice
degli afflitti, discepola missionaria del proprio Figlio Gesù, continui a
intercedere per noi e a sostenerci.
Roma, San Giovanni in Laterano, 31 maggio 2020, Solennità di Pentecoste
Franciscus